Biblioteca Malatestiana di Cesena

La Malatestiana è l'unico esempio di biblioteca umanistica perfettamente conservata nell'edificio, negli arredi e nella dotazione libraria, come ha riconosciuto l'Unesco, inserendola, prima in Italia, nel Registro della Mémoire du Monde. L'idea della biblioteca va attribuita ai frati di San Francesco, che avevano in animo di costruirne una ad uso dello studium, annesso al loro convento fin dal Trecento. A questo scopo nel 1445 essi ottennero da papa Eugenio IV il permesso di utilizzare un lascito testamentario e diedero inizio ai lavori dell'edificio probabilmente nel 1447. Nel 1450 è documentato il primo intervento di Malatesta Novello, signore di Cesena, che fece proprio il progetto dei frati. Al modello inaugurato nella biblioteca del convento domenicano di San Marco a Firenze da Michelozzo (1444), si ispira la Malatestiana di Cesena, cui Matteo Nuti, esaltato come Dedalus alter nell'epigrafe che si legge accanto alla porta d'ingresso, pose il sigillo del suo nome: "MCCCCLII Matheus Nutius Fanensi ex urbe creatus Dedalus alter opus tantum deduxit ad unguem" (1452).

Sul timpano del portale campeggia l'elefante, emblema dei Malatesti, con il motto "Elephas Indus culices non timet" ("L'elefante indiano non teme le zanzare"), mentre ai lati dell'architrave e sui capitelli delle lesene, sono raffigurati i simboli araldici della grata, delle tre teste e della scacchiera. La porta in legno scuro è opera di Cristoforo da San Giovanni in Persiceto e reca la data 15 agosto 1454, giorno solenne e festoso per la città che celebrava intorno a quei giorni un'importante "fiera d'agosto". Gli intagli, di gusto gotico, ripetono motivi a rosette e simboli elicoidali, disposti in modo da evocare la scacchiera malatestiana. L'araldica dei Malatesti è riprodotta anche all'interno, sui capitelli delle colonne della sala e sui 58 plutei (29 per parte), imponenti banchi di legno di pino in cui si conservano i codici. Varcato il maestoso portale, l'impressione è quella di trovarsi in una vera e propria "chiesa in miniatura", un tempio laico di serena e pacata bellezza, consono all'indole raffinata e colta del signore cesenate ed eccezionale per la perfetta conservazione. All'ideazione di questo spazio armonioso e luminoso non sembra estraneo l'artefice del Tempio Malatestiano di Rimini, Leon Battista Alberti, per tutta una serie di rapporti geometrici e proporzionali riscontrabili nella pianta e nell'alzato dell'edificio, che fanno riferimento alla nuova cultura prospettica rinascimentale codificata nel De re aedificatoria, celebre trattato dello stesso Alberti. Del tutto innovativa è infatti la pianta a tre navate, tutte e tre con copertura a volte: a botte quella centrale, a crociera quelle laterali, un poco più larghe e basse. La luce, distribuendosi dalle finestrelle archiacute, due per campata, si ripartisce nelle navate laterali, mentre la navata centrale, scandita da venti eleganti colonne con capitelli a scudi e a foglie pendule, è illuminata longitudinalmente dal grande occhio di fondo. Da qui un suggestivo fascio di luce cade sulle epigrafi del pavimento, che rinnovano la memoria del donatore: "Mal(atesta) Nov(ellus) Pan(dulphi) fil(ius) Mal(atestae) nep(os) dedit" ("Malatesta Novello figlio di Pandolfo nipote di Malatesta diede").

Anche il colore riveste un ruolo preciso: il bianco delle colonne mediane, il rosso del pavimento in cotto e delle semicolonne e il verde dell'intonaco, riportato alla luce dai restauri degli anni Venti del Novecento, rimandano ai colori degli stemmi malatestiani. Per dotare la sua libraria di un corredo di volumi adeguati e consoni al progetto di biblioteca che si prefiggeva, il signore di Cesena promosse uno scrittorio che, con attività organizzata e pianificata, produsse nell'arco di circa un ventennio oltre centoventi codici. La collezione è ispirata al modello umanistico sia nella scrittura in lettera antiqua, anche se sono presenti codici in gotica o semi gotica, sia nei testi, che comprendono autori classici, Padri della Chiesa e opere greche in traduzione, con particolare predilezione per gli storici e per le scoperte degli umanisti contemporanei. Tra gli amanuensi ricordiamo Jean d'Epinal che copiò almeno trentasei codici, Jacopo della Pergola al quale Malatesta Novello affidò la trascrizione di opere di grande impegno come lo splendido De civitate Dei di S. Agostino (D.IX.1), inoltre Frate Francesco di Bartolomeo da Figline, che fu anche il primo custode della libraria. Tra i copisti malatestiani che per il loro lavoro si servirono generalmente dell'umanistica, ricordiamo Andrea Catrinello da Genova, che sottoscrive uno dei codici da lui copiati, il giorno della morte di Malatesta Novello (20 novembre 1465). Insieme a questo gruppo di amanuensi, furono attivi alla corte del signore di Cesena altri sei o sette scrittori nordici, che usarono la scrittura gotica. Tra questi, il tedesco Mathias Kuler, che nell' explicit del S.IX.3 si descrisse come amante della bella vita e dei piaceri in compagnia delle donne: "Amen. Bonum vinum in tabema, consortia mulierum consumpserunt omnia. Venite exultemus". Voluta da un unico mecenate e realizzata in breve tempo, la raccolta ha un carattere fortemente sistematico, enciclopedico, perché destinata non al personale interesse del committente, ma agli studi di una comunità. Malatesta Novello dichiara il suo ruolo di promotore, facendo apporre nella prima pagina di ogni codice il proprio stemma riccamente ornato all'antica e le iniziali M N dipinte o in oro o in altri colori entro un campo rettangolare a foglia d'oro.

I manoscritti commissionati o acquistati da Malatesta Novello (circa 150 esemplari) integrarono così il preesistente fondo conventuale, costituito già nel Trecento, ma ricco di codici ancora più antichi, come le Etymologiae di Sant'Isidoro (S.XXI.5), del IX secolo. Si aggiunsero alla raccolta i testi di medicina e di scienze, ma anche di letteratura e filosofia, donati dal riminese Giovanni di Marco, medico di Malatesta Novello e come lui appassionato collezionista di codici. Quattordici codici greci, acquistati molto probabilmente da Malatesta Novello a Costantinopoli, sette ebraici e altri donati al Novello, più qualche codice aggiunto nei secoli successivi completarono la collezione che ammonta a 343 manoscritti.


I volumi sono tuttora collocati nei loro banchi, che avevano la duplice funzione di leggio, svolta dal piano reclinato, e di deposito dei libri nella scansia sottostante. Qui i codici, di solito cinque per pluteo e suddivisi per materia, sono appoggiati orizzontalmente e sono collegati ai banchi con catenelle di ferro battuto. Questa consuetudine probabilmente era nata dalla necessità di proteggere in modo adeguato libri tanto preziosi. Il signore di Cesena, che intuiva nella Biblioteca il simbolo imperituro della sua fama presso i posteri, volle, con una decisione e un'intuizione assolutamente originali, che la libraria fosse affidata anche alla cura e all'attenzione della comunità cesenate. Infatti, già dal 1461 il consiglio comunale faceva eseguire ogni due mesi un rigoroso controllo dei libri collocati nei plutei. Nel 1466, dopo la morte di Malatesta Novello, il Comune ottenne addirittura una bolla di scomunica per chiunque asportasse i codici. Venne così delineandosi il doppio controllo della raccolta, da una parte quella del Convento di S. Francesco che la ospitava e ne garantiva l'uso e dall'altra quella del Comune, che vegliava sulla sua integrità e sul suo rispetto. Anche la nomina del custode-bibliotecario spettava, secondo la volontà di Malatesta Novello, al consiglio comunale. In questo modo la storia della Biblioteca Malatestiana e della sua prodigiosa conservazione, che rappresenta ancora oggi il maggiore motivo di orgoglio di Cesena, è anche la storia di un simbolo sentito come proprio e amato con eccezionale fedeltà dai cesenati.

LA BIBLIOTECA PIANA

Nel salone che si apre di fronte alla Malatestiana si conserva la biblioteca Piana, già del papa Pio VII Chiaramonti (1800-1823). Assegnata in uso ai Benedettini del monastero di Santa Maria del Monte per espressa volontà del papa e di proprietà della famiglia Chiaramonti, nel 1941 è stata venduta dagli eredi Chiaramonti allo Stato italiano, ed è attualmente in deposito presso la Biblioteca Malatestiana. Ricca di oltre cinquemila volumi a stampa dei secoli XV-XIX e di un centinaio di manoscritti, comprende, fra i codici più preziosi, un Evangeliario datato 1104, un manoscritto giuridico del secolo XIII contenente il Decretum Gratiani, un Messale romano databile agli inizi del Quattrocento con una splendida Crocifissione miniata. Tra gli incunaboli si può ricordare un esemplare della Cosmographia di Tolomeo, che riporta la data falsa 1462 (in realtà stampato nel 1477 o nel 1482), con tavole colorate i cui disegni sono stati attribuiti a Taddeo Crivelli.

I CORALI DEL CARDINALE BESSARIONE

Il Cardinale Bessarione fu uno dei personaggi più importanti e influenti della Chiesa del XV secolo ed il massimo rappresentante di quella tendenza conciliare che voleva riunita la chiesa occidentale latina e quella orientale greca. Tra il 1450 e il 1455 trascorse un periodo a Bologna, come legato papale per quella città e per le Romagne, che coincide con quello della commissione dei corali. Il ciclo comprendeva diciotto volumi, e la sua destinazione doveva essere il convento dei Francescani Osservanti di Costantinopoli, ma la caduta della città in mano turca nel 1453 fece cambiare tale sede e fu scelto il Convento dell'Osservanza di Cesena, dove essi rimasero fino ai primi anni dell'Ottocento. In seguito alle vicende legate all'occupazione napoleonica e alla soppressione degli ordini religiosi (1797-1810), la maggior parte dei corali andò dispersa e soltanto sette furono collocati nella biblioteca comunale di Cesena che allora si andava costituendo. Un recente acquisto sul mercato antiquario internazionale ha consentito di recuperare uno dei corali dispersi: si tratta di uno splendido antifonario, contrassegnato nella carta incipitaria dallo stemma del Bessarione.

I CORALI DELLA CATTEDRALE

I sette corali, sei Graduali e un Kyriale, vennero commissionati dal vescovo Giovanni Venturelli da Amelia e dai canonici del Duomo e realizzati dal copista Enrico di Amsterdam tra il 1480 e il 1495.

Tra i miniatori che hanno decorato questi corali, ricordiamo il canonico Savinus Faventinus e Frater Hieronimus. Secondo la testimonianza dell'erudito settecentesco Giovan Battista Braschi, essi venivano esposti alla pubblica devozione e ammirazione nel giorno della festa di San Giovanni Battista, patrono di Cesena, che si celebra il 24 giugno. Non a caso quindi, una delle pagine più note di questi splendidi volumi è la 75v del corale C, che contiene la raffigurazione della nascita del Santo.


Per il testo si ringrazia Biblioteca Malatestiana di Cesena

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